Calcioscommesse, Milanetto: ”Non so nemmeno io come ci sia finito dentro. Sono pulito”

Le dichiarazioni di uno dei giocatori coinvolti nello scandalo del calcioscommesse

Omar Milanetto con la maglia del Genoa (Getty Images)

CALCIOSCOMMESSE MILANETTO / WEB – Omar Milanetto è divenuto famoso più per i suoi presunti misfatti che per le caratteristiche tecniche da giocatore.Il centrocampista, ora al Padova, il 28 Maggio scorso è stato arrestato nell’ambito dell’inchiesta cremonese Last Bet: si sospetta il suo coinvolgimento nella combine del derby di Genoa dell’8 Maggio 2011 e nella partita in trasferta contro la Lazio di due settimane prima. Milanetto ha concesso un’intervista a Panorama, dove ha parlato a tutto tondo del proprio coinvolgimento nell’indagine:

Proviamo a riavvolgere il nastro: al centro delle accuse formulate contro di lei dalla procura di Cremona c’è la settimana trascorsa tra Genoa-Sampdoria e Lazio-Genoa. Due partite che avrebbero visto lei e alcuni suoi compagni al centro di tentativi di combine, per favorire gli scommettitori o le squadre in campo. Qual è la sua versione?

Quel famigerato derby si è concluso con un violento scambio di accuse tra me e la tifoseria genoana proprio perchè la curva accusava me e la squadra di scarso impegno mentre noi sapevamo di avere dato il massimo. Detto questo…

Detto questo?

Detto questo, quella partita non compare neppure tra i miei capi d’imputazione. È stato il pm Roberto Di Martino a tirarla fuori, a sorpresa, durante il mio interrogatorio di garanzia. Io sono cascato dalle nuvole e il gip lo ha subito stoppato. Il Tribunale del riesame, poi, non l’ha neanche presa in considerazione nonostante le insistenze del pm.

In un’intercettazione allegata agli atti un ultrà afferma che 18 giocatori della Sampdoria versarono 100 mila euro a testa per pareggiare la partita. Soldi che sarebbero serviti a pagare lei e altri suoi compagni di squadra.

Che io sappia, un processo penale dovrebbe basarsi sui fatti, non sulle leggende metropolitane o i sentito dire. Comunque la persona che lei cita ha già smentito tutto, definendo «chiacchiere da bar» le proprie conversazioni telefoniche. E io al ristorante Il Coccio di Genova, dove si sarebbe parlato di questo accordo (alcune foto ritraggono un presunto summit tra i tifosi rossoblu e i calciatori Domenico Criscito e Giuseppe Sculli, entrambi indagati nello stesso procedimento n.d.r.) non ci sono mai stato. Sfido chiunque a dimostrare il contrario.

Lei però ha ammesso di conoscere uno dei presenti, Safir Altic, pregiudicato e oggi in carcere con l’accusa di traffico di stupefacenti. Al di là di tutto, le sembra normale che intorno alle squadre e ai calciatori gravitino personaggi di questo tipo che poi finiscono per inguaiarvi?

Non sapevo che Altic fosse pregiudicato, per me era un semplice tifoso, nemmeno tra i più esagitati. Credo che in un mondo dorato come quello del calcio sia normale essere circondati da mille individui di ogni estrazione, sta poi all’intelligenza del singolo giocatore valutare il singolo personaggio. Per quel che mi riguarda, nella mia carriera ho instaurato amicizie per la vita in ogni città dove ho giocato, ma Altic non rientra certamente tra queste…

Contro di lei ci sono accuse e testimonianze molto circostanziate anche su Lazio-Genoa 4-2 del 14 maggio 2011, uno degli episodi cardine dell’inchiesta.

Falso. Io vengo tirato in ballo solamente da Carlo Gervasoni (uno dei «pentiti» dell’inchiesta di Cremona, n.d.r.), persona che non conosco, e in modo ogni volta diverso: nel primo interrogatorio accenna alla partita ma non mi nomina neppure, nel secondo sostiene di aver appreso da terzi che io avrei incontrato alcuni esponenti della cosiddetta banda degli zingari, senza specificare quali. Solo a Marzo inoltrato, quando già sui giornali erano uscite illazioni su di me, si ricorda – sempre per sentito dire – che avrei incontrato altri due presunti esponenti dell’organizzazione, Hristyan Ilievsky e Alessandro Zamperini. Entrambi hanno negato la circostanza, mentre Almir Gegic (presunto capo della cellula degli «zingari», n.d.r.) dice di non conoscermi.

Quella partita ebbe un andamento piuttosto strano e con un volume fuori norma di puntate azzeccate a Roma e dintorni nel primo pomeriggio del sabato, proprio nelle stesse ore in cui gli «zingari», secondo l’accusa, si muovevano tra il ritiro genoano e quello laziale. Lei era in campo: davvero non notò niente di strano?

No. Fu una partita assolutamente regolare. Magari i ritmi erano un po’ bassi, ma è normale a fine stagione. Quanto ai movimenti, perché dovrei essere proprio io il colpevole?

Cosa intende?

Se mai questi «zingari» si sono davvero avvicinati al noistro albergo, ho le stesse probabilità di aver agganciato le loro celle di tutti gli altri: i miei compagni, i tecnici e i dirigenti. Perché per me dovrebbe essere diverso?

Come spiega invece la sua presenza in un hotel di Milano, dove si trovavano anche alcuni degli «zingari» e molti altri indagati, proprio il giorno successivo?

Ero lì per un addio al celibato, e questo spiega la presenza di molti altri calciatori. Quanto ai presunti capi dell’organizzazione, come abbiamo ricostruito mostrando i movimenti della mia cella telefonica e del telepass e i registri dell’albergo, solo uno di loro, Antonio Bellavista, si trovava lì in quel momento, e peraltro era lì da quattro giorni. Gli altri erano già ripartiti o dovevano ancora arrivare.

Ma allora perché la accusano?

Secondo me qualcuno é stato beccato con le mani nella marmellata e pur di non affondare del tutto ha voluto far credere che certi comportamenti siano generalizzati. Non c’è nessun contatto telefonico, sms, neppure un aggancio di celle con gli altri indagati: come avrei potuto parlare con loro, coi segnali di fumo?

Insisto. Perché avrebbero tirato in ballo, tra gli altri, proprio lei?

Non lo so. Ci ho pensato a lungo, ho riletto decine di volte l’ordinanza di custodia cautelare che mi riguarda, e ancora non capisco come e perché ci sono finito dentro. Posso solo ribadire che sono nel calcio da vent’anni e che ho giocato sempre senza risparmiarmi. Forse la spiegazione è proprio questa: se qualcuno ha deciso di millantare gli sarà sembrato più facile fare il nome di chi, come me nel Genoa e Mauri nella Lazio, era più anziano e conosciuto e aveva vinto molto.

Ammettiamo che lei sia pulito, come sostiene. Ma l’ultima tranche dell’inchiesta di Cremona vede indagati altri ex giocatori del Genoa. Perché?

È una domanda che mi faccio anche io. Di solito non metto la mano sul fuoco su nessuno ma credo fermamente nei miei ex compagni di squadra. Escludo a priori che qualcuno di loro abbia tenuto comportamenti illeciti lo scorso anno.

La Serie A è pulita?

Per quel che ho visto io, sì. Credo però fermamente che se qualcuno avesse davvero sbagliato, e ci fossero prove, ripeto prove, inconfutabili a suo carico, dovrebbe pagare. Tutto. Senza nessun patteggiamento, nemmeno sul piano sportivo. Ma allo stesso modo credo sia profondamente sbagliato mischiare nomi, volti, circostanze e semplici dicerie e buttare tutto in pasto all’opinione pubblica. Quando invece dovrebbe sempre prevalere il principio dell’innocenza sino a prova contraria.

Si riferisce anche a lei?

Certo. Questa vicenda mi ha insegnato che anche se non hai fatto nulla puoi finire nel tritacarne, e non è una bella constatazione. Il carcere poi è un’esperienza devastante, fisicamente e mentalmente: un tunnel dal quale hai costantemente paura di non uscire mai più.

Il mondo del calcio come l’ha trattata in questi mesi?

Devo ammettere che i miei compagni del Padova e l’allenatore non mi hanno mai fatto pesare il coinvolgimento nell’indagine. Anzi, mi sono stati vicini, così come la famiglia Preziosi e la maggior parte dei miei ex tifosi del Genoa. Certo, quando giochi in trasferta le curve avversarie ti beccano. Ma questo fa parte del gioco.

Rimarrà nel calcio?

È quello che mi auguro. Dal processo sportivo mi aspetto molta più attenzione e scrupolosità di quello penale perché mi pare di aver già pagato abbastanza, ho ancora un anno di contratto da giocatore e sarebbe assurdo non poterlo onorare. Dopo mi piacerebbe lavorare sui giovani, ma non con un ruolo di campo: magari collaborare a scoprire talenti. Intanto però cerco di riprendermi la mia vita: famiglia, amici, enoteche, ristoranti, passeggiate. Quelle cose di cui non ci si stanca mai.

Impostazioni privacy