Nba, la storia di Chris Wright: esordisce con Dallas dopo aver sconfitto la sclerosi multipla

Ha giocato solo un minuto (2 punti) ma è una storia da raccontare

Chris Wright
Chris Wright

NBA WRIGHT / ASROMALIVE.IT – La sclerosi multipla è una malattia molto seria. E’ un disturbo del sistema nervoso, che nei casi più gravi può portare anche alla paralisi. Colpisce principalmente le donne, con un rapporto di 2 a 1 rispetto agli uomini, e può assumere diverse forme, recidivanti e progressive. Fino a oggi non esiste una cura per debellare completamente la malattia, ma solo un trattamento farmacologico in grado di evitare nuovi episodi e prevenire la totale paralisi. Per chi soffre di questo male, l’aspettativa di vita è di circa 5-10 anni inferiore a una persona sana.

Chris Wright è un ragazzo di 23 anni con una grande passione: il basket. E’ nato a Bowie, nel Maryland, e fin da piccolo ha sempre avuto il chiodo fisso della pallacanestro. Non è molto alto per essere un cestista, 1.85m la sua statura, ma ha delle mani molto sensibili, un’ottima visione di gioco e una rapidità nella penetrazione propria dei grandi giocatori. High school (St. John’s College di Washington, 30 punti di media nel 2007) e soprattutto il quadriennio di college a Georgetown (l’ultimo anno, da senior, chiude tra i primi 20 della Big East per punti e assist, recuperi e percentuale da tre e ai liberi) rafforzano la convinzione che il basket può essere la sua strada. Nel 2011, la chiamata dell’Nba non arriva, ma lui non si dà per vinto, va in Turchia e inizia a giocare con l’Olin Edirne. La sua carriera è finalmente iniziata, ma nel marzo del 2012 ecco la brutta notizia.

Durante un allenamento perde il controllo di un piede in occasione di una sessione di scatti. Sembra un momento destinato a passare in fretta, ma durante la notte Chris comincia a perdere sensibilità alla mano e alla gamba destra. Poi l’intorpidimento e la sensazione che il corpo non risponda più agli input mandati dal cervello. Da quel giorno basta basket, ma un continuo andirivieni dagli ospedali: perché la sclerosi multipla, il motivo dei suoi spasmi, non si riconosce subito, ma servono parecchi esami per arrivare a una diagnosi precisa.

I medici turchi non gli avevano dato molto speranze: “Mi dissero che non avrei mai più giocato, ma io non l’ho mai pensata così. Sapevo solamente che ci sarebbe stato un percorso da fare, ma che alla fine sarebbe stata una bella storia…”.

Chris, dal giorno in cui gli diagnosticano la malattia, inizia una cura farmacologica che, grazie anche al suo fisico di atleta, è regredita con il passare dei mesi e gli ha permesso di tornare ad allenarsi lo scorso luglio. Dalla Turchia fino a oggi non ha più avuto attacchi importanti, ma è comunque costretto a rispettare rigide terapie farmacologiche e ogni sei mesi deve sottoporsi a una visita di controllo con uno specialista. Nulla però gli vieta di giocare a pallacanestro, la cosa che ama di più in assoluto. Saltata la Summer League, Chris è comunque riuscito a presentarsi con una buona condizione all’inizio della stagione della D-League con la maglia degli Iowa Energy, dove è risultato essere una delle migliori point-guard di tutta la lega.

Dallas, che doveva riempire il vuoto lasciato da Dominique Jones, uno che con la maglia dei Mavericks non ha mai convinto del tutto, ha puntato su di lui, regalandogli il sogno di entrare a far parte di una franchigia Nba. Per Chris, primo giocatore malato di sclerosi multipla a essere tesserato nella National Basketball Association, nella notte è arrivata anche la gioia della prima presenza, anche se per un solo minuto contro Cleveland, e i primi due punti. “Con questa chiamata dalla Nba ho fatto la storia – dice un raggiante Wright –. E’ un qualcosa di cui vado molto fiero, sono contento di essere il volto di questa malattia ed essere una fonte di ispirazione e motivazione per le persone che continuano a lottare come me”.

Il suo contratto è di soli dieci giorni, ma la sua speranza è che possa durare molto di più. D’altra parte lo aveva detto lui stesso: “Sapevo che alla fine sarebbe stata una bella storia…”. Aveva ragione.

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