RASSEGNA ESTERA / WEB – Il calcio come oppio dei popoli in un’epoca di asfissia. Il calcio come metafora del valore di uno sforzo collettivo e come perdita definitiva di quei complessi di inferiorità che impediscono di sognare.
Un pugno di atleti ineguagliabili, con impresso il gene della vittoria e guidati da un allenatore con le idee chiare e abituato a gestire lui la fortuna degli altri.
Il titolo di ieri compone la trinità dei maggiori tornei al mondo, una prodezza conquistata grazie ad un calcio rappresentato dall’estetica di Xavi Hernandez che ha saputo conciliare concetti contraddittori quali romanticismo e successo. Una eccezionalità che per la squadra di Del Bosque è consuetudine ormai e che l’ha posta tra le grandi del calcio.
Nella calda notte di Kiev, l’Italia -cinque volte campione- ha solo potuto dare maggior lustro al successo iberico. Sia perchè il mister Cesare Prandelli non ha mai rinnegato le sue idee offensive, sia perchè gli Azzurri hanno messo da parte il loro proverbiale pragmatismo e sono riusciti financo a togliere alla Spagna quello che è il bene più prezioso: la palla. Hanno lottato fino all’ultimo senza arrendersi mai.
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