(M. Pagliara) C’è un fenomeno nuovo in questa estate di calciomercato che, anche agli osservatori meno attenti, non sarà sicuramente sfuggito: per la prima volta, il baricentro geopolitico e finanziario si è fortemente spostato sulla città di Roma. Milano e Torino, in qualche modo, per via anche di strategie e bilanci differenti dei propri club, hanno (momentaneamente?) abdicato al loro ruolo storico di locomotiva italiana del calciomercato. Grazie ai generosi investimenti realizzati dal proprietario della Roma, James Pallotta, e dal presidente della Lazio, Claudio Lotito, conti alla mano, emerge che quasi un terzo della spesa dell’intera Serie A si è finora concentrata nella città di Roma. Un trend nuovo, senza dubbio, è il vento nuovo del calcio italiano che in questa estate sta capovolgendo gerarchie consolidate da decenni.
EFFETTO-CRISI — Se anche gli altri club italiani avessero riservato le fette dei propri bilanci come Lazio e Roma, in termini di milioni e di qualità degli acquisti, la fotografia del mercato in Italia a un mese esatto dalla data di chiusura non sarebbe così striminzita, e anche il confronto con gli altri grandi campionati d’Europa sarebbe più gratificante. I club di Premier, infatti, ad oggi hanno speso globalmente 613,87 milioni di euro (e devono ancora muoversi con forza il Manchester United e il Tottenham), così come quelli di Liga hanno riservato al mercato investimenti per 400 milioni (con i soliti fuochi d’artificio di Real Madrid e Barcellona). L’Italia ha un portafoglio d’acquisti complessivo di 231,93 milioni: più o meno, un terzo degli inglesi e la metà degli spagnoli. Anche questo è un ulteriore indicatore della crisi del calcio made in Italy. Nel nostro giardino, però, Roma (40 milioni) e Lazio (27) insieme hanno già speso 67 milioni, per l’esattezza il 29%. Un terzo degli investimenti arrivano dalla città di Roma, divenuta – a meno di stravolgimenti d’agosto – la capitale del mercato italiano.
MUSCOLARE E IRRESISTIBILE — Le campagne dei d.s. Sabatini e Tare sono state di sostanza, di qualità, rivoluzionarie rispetto all’andazzo degli ultimi anni in Italia. Roma e Lazio hanno fatto la spesa, lanciandosi su tutti obiettivi di prima fascia, senza essere costrette a ricorrere alle classiche cessioni eccellenti. Così Garcia e Pioli hanno mantenuto i loro gioielli, potendo osservare con gioia un mercato che gli portava in carrozza nuovi talenti utili al progetto. Gli affari-lampo della Roma, ad esempio, hanno fatto la differenza: Sabatini ha bruciato con blitz improvvisi e irresistibili la concorrenza su Iturbe (di Juve e Milan, affare da 28 milioni) e su Astori (prestito a 2 milioni+5 per il riscatto, sul quale c’era proprio la Lazio). Non solo decisa, ma anche muscolare: la Roma ha resistito agli assalti su Pjanic (prima che finisse il campionato), su Benatia (di Barcellona, City e Chelsea) e di recente su Strootman (desiderio di Van Gaal allo United). A parametro zero sono poi arrivate tre pedine di esperienza, che mancavano nella rosa per caratteristiche: Cole, Emanuelson e Keita. La Roma è il decimo club in Europa nella classifica di chi ha speso di più: così, nel gran premio dell’estate, i giallorossi hanno conquistato la pole per la scorsa scudetto.
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