Nel consueto spazio sulle frequenze virtuali di Non è la Radio, Febbre da Roma ha avuto il grande piacere di intervistare Carlo Verdone, parlando di cinema e, ovviamente, di Roma. Queste le parole dell’attore e regista ai microfoni di Danilo Conforti e Riccardo Filippo Mancini:
Ciao Carlo, la prima domanda, doverosa, è sull’attualità. Pochi giorni fa, insieme a tanti artisti italiani hai firmato un appello al governo e al Ministro Franceschini per chiede l’applicazione della direttiva europea sul copyright, un tema importante per la tua categoria.
È una cosa importante perché tutti se ne approfittano. Ci sono delle piattaforme su cui caricano qualsiasi cosa e non va bene, c’è un diritto d’autore da rispettare. Ogni giorno vengono caricati pezzi dei miei film, io non ho mai detto nulla, ma spesso su Youtube vengono caricati i film interi. Quel film ha avuto dei costi, e anche se noi autori non ci guadagniamo niente, quando ti ritrovi pezzi di film su piattaforme che non pagano o pagano pochissimo, non è neanche un mio problema neanche, perché io vengo pagato alla consegna del film, non prendo percentuali, ma francamente bisogna mettere le cose a posto. Qualche secondo si può concedere, un film intero no. Non è vero che tutto appartiene a tutti, non si può andare avanti così, nell’anarchia generale. È una questione etica, più che economica: ci devono essere delle regole. Ogni tanto qualche amico mi dice i film interi su Youtube, io segnalo ma non serve a niente. Ci vogliono delle regola, ma poi ti scontri con dei colossi che queste regole non le vogliono. Perlomeno abbiamo posto il problema, poi vediamo che succede. In questo Paese le cose vanno male anche perché c’è troppa burocrazia che rallenta tutto e che crea anche molta corruzione.
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Veniamo alla Roma, con una domanda che è un po’ a metà con il cinema. La Roma è sempre stata molto citata nel cinema, ma tu, che sei l’ultimo erede della commedia italiana, non l’hai fatto quasi mai. È una forma di rispetto per la tua fede giallorossa?
Ci fu un episodio, forse ne I mostri, con Gassman che interpretava il supertifoso della Roma, facendo urla incredibili per un gol: una prova da grandissima attore soltanto con questa esultanza. Io penso che il calcio non è la Roma. La Roma l’ho citata solo in Gallo cedrone, quando sono in come dopo essere stato picchiato dagli integralisti islamici, e i miei amici per farmi risvegliare recitano la formazione della Roma dello Scudetto. Quello è l’unico omaggio che ho fatto alla Roma. Io non tocco l’ argomento calcio perché non ci trovo niente di poetico. Sono un tifoso appassionato e fedele, ma io devo trovare poesia e oggi nel calcio non c’è poesia. Lo vediamo anche in questi giorni, con tutti questi problemi, queste complicazioni politiche e burocratiche. Tutto è molto confuso e legato a interessi economi. Potrei fare un film su qualcosa che mi da uno spessore umano forte, su un maratoneta o anche un procuratore che cerca talenti, perché lì c’è un fattore umano, c’è un’anima, ma per la Roma non me la sento. Abbiamo avuto Alberto Sordi e Lino Banfi, a me francamente non viene molta voglia. Potrei fare un film su un uomo che lotta contro sé stesso, ma su una squadra di oggi, con i giocatori milionari, i diritti tv, tutto quello che c’è sotto, che c’è di poetico? Una volta il calcio era poesia, oggi è business. Dove c’è business non c’è poesia.
Che sensazioni hai sul futuro della Roma? Sei preoccupato?
Tu hai vissuto un’epoca molto diversa rispetto a noi. Cos’è per te il romanismo?
Io ho vissuto un’ epoca in cui andavi allo stadio e non avevi paura. Soprattutto negli anni ‘60, tra Roma e Lazio si risolveva tutto a sfottò, qualche ortaggio tirato e un po’ di scenografia, ma non c’era violenza. Poi l’episodio di Paparelli cambia tutto e il calcio prende un’altra direzione. Le curve cominciano a essere frequentate da altre persone, diventa tutto più aggressivo e si perde la poesia che c’era in passato, quando non succedeva niente. Poi siamo entrati in un’altra era, meno poetica. Per me il romanismo sono due colori: il giallo e il rosso- Sono quartieri come Testaccio, quartieri di una Roma vera di un tempo, dove veramente batteva il cuore giallorosso. Quando ti innamori di una squadra sei quasi te a scendere in campo. È questo il bello di questo sport: ti senti quasi un calciatore, perché sai che il tuo tifo spinge quelli in campo a correre. Per me la Roma è una gran parte di Roma. Poi c’è anche la Lazio, ma io la identifico con la mia città.
Ultima domanda arriva dal nostro Emanuele Giubilei: Totti definì il tempo con il termine “maledetto”. Il passare degli anni colpisce tutti, ma spesso, dal tempo, rubiamo momenti della nostra vita che rendiamo indelebili e indimenticabili. Ti chiediamo quindi tre immagini che non lascerai mai andare via da tifoso, da attore e da Uomo.
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